#HaveAWord, un messaggio necessario o una campagna per "tenere buone" le donne?
Entrambe le risposte probabilmente sono vere, e tocca prenderne atto, rinunciando alla polarizzazione tanto cara a questi tempi social, poco socializzati.
Entrambe le risposte probabilmente sono vere, e tocca prenderne atto, rinunciando alla polarizzazione tanto cara a questi tempi social, poco socializzati.
Il sindaco di Londra Sadiq Khan ha lanciato questa campagna, che invita gli uomini a prendere posizione contro la violenza di genere e a non restare in silenzio quando vi assistono.
Su Instagram, #SadiqKhan ha scritto: “La violenza maschile contro donne e ragazze inizia con le parole. Se vedi che sta succedendo, parla con te stesso, poi con i tuoi amici”.
La campagna #HaveAWord va contestualizzata. Arriva a un anno dal femminicidio di Sarah Everard (marzo 2021), stuprata e uccisa dal poliziotto Wayne Couzens. Un caso spartiacque nel tema della violenza di genere, che ha oltrepassato i confini dell’Inghilterra anche per l’irragionevole risposta istituzionale. Nei giorni successivi al delitto, infatti, la polizia britannica represse in modo molto violento la veglia organizzata da Reclaim These Streets e altri movimenti femministi a Clapham Common. E, né la polizia né l’opinione, politica prima ancora che pubblica, risparmiarono alla famiglia di Sarah Everard una buona dosa di victim blaming, o colpevolizzazione della vittima che, a loro dire, non avrebbe dovuto essere sola a quell’ora in quella zona, ma preferire un taxi (a ribadire, semmai ce ne fosse bisogno, che la vita di una donna può ben dipendere da un privilegio di classe).
Sei mesi dopo Everard, un altro femminicidio scosse l’opinione pubblica, quello di Sabina Nessa, insegnante uccisa in un parco di Londra. Nel mezzo, in realtà, tante altre vittime. Come in Italia, anche il Regno Unito conta una donna uccisa ogni tre giorni e, finora, la risposta della politica non è parsa sufficiente ad arginare un fenomeno endemico.
Contestualmente all’uscita della campagna, il sindaco Khan, ha dichiarato: “A Londra e in tutto il Paese stiamo affrontando un’epidemia di violenze contro donne e ragazze, commesse da uomini. […] Come uomini dobbiamo riflettere sul modo in cui vediamo, trattiamo e parliamo delle donne. Ecco perché questa nuova campagna si rivolge direttamente a uomini e ragazzi per trasmettere il messaggio che le parole contano e che c’è un legame tra misoginia e violenza”.
In questo contesto, questo video può avere almeno due letture.
La campagna #HaveAWord nasce dalla necessità di fare cultura e sensibilizzare sulla responsabilità maschile nella violenza di genere; o è un abile tentativo di “tenere buone” le donne e le organizzazioni femministe in occasione del tragico anniversario?
Entrambe le risposte probabilmente sono vere, e tocca prenderne atto, rinunciando alla polarizzazione tanto cara a questi tempi social, poco socializzati. Non è un caso anzi che questa stessa riflessione sia evoluta all’interno della community di Hella Network – il network per la comunicazione inclusiva, luogo deputato al confronto aperto e libero da stereotipi tra professioniste e professionisti.
Negare il “fastidio” che si può provare (e personalmente ho provato!) di fronte a questa campagna, e che origina da quanto fin qui argomentato in nome dell'”almeno è già qualcosa” è una possibilità; l’altra è la strada della complessità, che preferisco e che mette insieme punti di vista e ragioni diverse, ognuna portatrice di un pezzo di verità.
La campagna #HaveAWord è più di un “meglio di niente”: è bella, potente, necessaria e, soprattutto, parla agli uomini; cosa che per assurdo non si fa mai quando si sensibilizza sul tema. E non a caso! La violenza di genere è agita dagli uomini, ma nelle campagne di sensibilizzazione ci si rivolge alle vittime (donne!) perché si ritiene che loro sia la responsabilità, loro il potere di “prevenire” i reati con una serie di atteggiamenti “virtuosi” (per esempio, evitare abiti ‘provocanti’ o di rientrare a casa tardi la sera), o sottrarvisi, se è quello che davvero si vuole (da qui frasi come: “se non denunci sei complice” o “perché non hai gridato?”).
A richiamarmi alla necessità di registrare il progresso di questa campagna, tra le altre, c’è Ella Marciello, direttrice creativa, recentemente in libreria con Scrittura Ribelle, Anti manuale di scrittura creativa (Hoepli, 2022), nonché portavoce di Hella Network che segnala, tra le altre cose, come si tratti già del “secondo esempio di campagna con target uomini che arriva da UK. Io lo vedo come un passo avanti. Piccolo, infinitesimale, ma c’è”. Con riferimento alla campagna, meritevolissima, That Guy.
Il che non si tratta di farsi bastare il contentino, sia chiaro; per quanto se è così ben confezionato significa che dietro ci sono persone informate, che si sono messe in ascolto. Si tratta piuttosto di riconoscere i progressi, quando ci sono. Perché, se c’è una cosa certa, è che non passeremo da un femminicidio ogni tre giorni a una nuova società dell’inclusione con un unico gigantesco balzo in avanti. Mantenere la visione di insieme serve, io credo, da una parte a non scoraggiare ciò che di buono c’è e va difeso, anche in un’operazione di comunicazione che ha, inevitabilmente, finalità di consenso politico; dall’altra a non abbassare la guardia. Non avremo strade sicure da percorrere senza rischiare la vita da un giorno all’altro, ma perché ciò avvenga bisogna continuare a esigere soluzioni concrete, che abbiano la piena consapevolezza di chi è il colpevole e chi la vittima.
Sempre all’interno della Community Hella Network, Rossella Forlè a questo proposito scrive: “Vivo a Londra e ho partecipato personalmente alla veglia per Sarah Everard l’anno scorso a Clapham. La polizia intervenne e allontanò con la forza tante delle donne e persone non binary intervenute a loro dire “illegalmente” per via delle restrizioni Covid. È di questi giorni la notizia che i giudici hanno condannato l’intervento della polizia e sostenuto il gruppo Reclaim these streets. Una vittoria per tutte. Quindi la risposta concreta in un certo senso c’è stata. L’8 marzo con Women’s Strike siamo di nuovo scese in piazza contro la polizia in particolar modo contro la questura di Charing Cross che è stata vittima di un putiferio scatenato dalla scoperta di messaggi misogini e razzisti che i poliziotti si sono scambiati in chat. Il sindaco di Londra è sempre stato molto sensibile all’argomento. Le campagne di questo tipo sono quasi sempre modi per lavarsi la coscienza. E da attiviste solleviamo da anni il problema della pericolosità delle strade di Londra. A tal proposito ti segnalo la campagna “Ask for Angela”, non se ne hai sentito parlare, una campagna che, sebbene non abbia avuto la stessa risonanza a livello internazionale, è stata molto efficace. Nel frattempo il Women’s Equality Party, di cui faccio parte, sta chiedendo un intervento dell’Home Office per avviare un’indagine legale sulla misoginia nella polizia di stato”.
Una riflessione non termina in poche parole.
Per sua stessa natura apre, all’ascolto, al dibattito, alle opinioni.
Giornalista professionista e responsabile editoriale di Roba da Donne, scrive di questione di genere. Per Einaudi ha scritto il saggio "Libere. Di scegliere se e come avere figli" (2024). È autrice di "Rompere le uova", newsletter ...
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