Il 13 marzo 1964 il mondo assisteva con sgomento alla tragedia di Kitty Genovese a New York nel quartiere di Kew Gardens, distretto del Queens, un terribile evento che avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia e avrebbe sollevato interrogativi sulla natura umana. Una storia drammatica su come l’indifferenza sociale possa avere conseguenze devastanti.

La sera del 13 marzo 1964 Kitty fu attaccata da un uomo con un coltello. Lei riuscì a fuggire, gridando a squarciagola soccorsi, ma dopo pochi minuti l’uomo la raggiunse e la portò in un vicolo dove la violentò e la accoltellò mortalmente. L’intera sequenza di eventi durò parecchi minuti, durante i quali diverse persone sentirono le urla di Kitty senza intervenire.

Nessuna di loro chiamò la polizia o cercò di soccorrere la vittima. L’indifferenza sociale e il fenomeno psicologico noto come “effetto spettatore” giocarono un ruolo cruciale in questo caso. L’effetto spettatore si verifica quando una persona, in presenza di altri, è meno propensa ad intervenire in situazioni di emergenza, pensando erroneamente che qualcun altro si occuperà del problema.

L’effetto spettatore è stato al centro di numerosi studi, tra i quali spicca quello portato avanti dagli studiosi John Darley e Bibb Latané. Uno degli esperimenti più noti condotti coinvolgeva la simulazione di una situazione di emergenza in un laboratorio. Partecipanti ignari furono posti in diverse stanze e fu detto loro di discutere tra loro di temi giovanili attraverso un interfono. In realtà la motivazione dietro questa decisione era legata all’impiego del registratore per simulare una situazione di emergenza.

In un determinato momento del test, una delle voci registrate fingeva un improvviso malessere, seguito da una perdita di coscienza. Da quel punto in poi, gli sperimentatori misurarono il tempo impiegato dal partecipante per abbandonare la stanza al fine di chiamare i soccorsi. Convalidando l’ipotesi iniziale, Darley e Latané osservarono che la prontezza nel richiedere aiuto era inversamente proporzionale al numero di persone che, secondo la percezione del partecipante, erano presenti.

Il comportamento descritto è stato definito dagli studiosi “diffusione di responsabilità“. Questo fenomeno si manifesta quando un individuo, inserito in un contesto di gruppo, è incline a credere che la responsabilità delle azioni in corso ricada principalmente sugli altri membri del gruppo.

Questa convinzione, di fatto, si traduce in una diluizione della responsabilità tra i membri del gruppo che contribuisce ad alimentare l’inerzia, rendendo meno probabile che chiunque prenda l’iniziativa in modo tempestivo e risolutivo.

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