Da anni il suo nome era accostato al premio Nobel per la letteratura, e anche se ormai, purtroppo, non potrà più vincerlo, Maryse Condé, scomparsa ieri notte a 90 anni all’ospedale di Apt, nel sud della Francia, resta indiscutibilmente una delle voci più importanti dell’identità nera, colei che ha dato la parola in modo indelebile all’Africa, agli schiavi e alla comunità franco caraibica.

Nata nell’arcipelago di Guadalupa, nelle Antille francesi, più precisamente a Pointe-à-Pitre, l’11 febbraio del 1934, Condé ha scritto circa trenta libri sull’Africa e ha anche insegnato per diversi anni negli USA, a Berkeley e Harvard, oltre che in un centro studi francofoni alla Columbia University. Insignita del Nobel alternativo, assegnato dagli accademici quando l’Accademia Svedese rinviò l’assegnazione del premio a causa di un #MeToo letterario, nel 2018, la scrittrice dichiarò: “La Guadalupa è un piccolo Paese, importante per noi che ci siamo nati, ma ricordato solo in occasione di uragani e terremoti. Sono felice che il nostro Paese sia ora conosciuto anche per altri motivi, per questo premio letterario che sono davvero orgogliosa di ricevere”.

Fino alla tarda adolescenza, Condé ha raccontato di non aver mai percepito di essere nera, forse anche per la scelta della madre insegnante di parlare francese, e non creolo, con lei e i sette fratelli maggiori. Solo diciannovenne, approdata a Parigi, si rese conto dell’esistenza dei neri e del significato del suo colore, in un momento, gli anni ’50, in cui gli intellettuali neri erano in piena attività e le colonie stavano via via reclamando la propria indipendenza. Nella capitale francese incontra lo scrittore e politico martinicano Aimé Césaire, che le apre gli occhi: “Capivo di non essere né francese né europea – ha ricordato nel documentario a lei dedicato nel 2011, Una voce singolare – Che appartenevo a un altro mondo e che dovevo imparare a strappare le bugie e a scoprire la verità sulla mia società e su me stessa”.

Maryse Condé divenne scrittrice in tarda età, a 42 anni, spinta dal nuovo compagno, Richard Philcox, che divenne anche il suo traduttore, conosciuto dopo la fine del suo matrimonio con l’attore africano Mamadou Condé; il primo romanzo è Hérémakhonon, seguito da quello che diventerà un besteller mondiale, Ségu, che racconta dell’impero Bambara nel Mali del XIX secolo. Ammalatasi di una malattia neurodegenerativa, negli anni ’80 si era trasferita in un paesino nel sud della Francia, Gordes, nella regione di Vaucluse. Proprio lì ha dettato il suo ultimo libro a un amico, Il Vangelo del Nuovo mondo, la sua personale riscrittura del Nuovo Testamento.

Tra i tanti riconoscimenti ricevuti nel corso della carriera anche la Legion d’Onore conferita nel 2020 dal presidente francese Emmanuel Macron, con la motivazione “Maryse Condé mi ha insegnato l’Africa”.

“Ho sempre lavorato con lei nelle sue varie case editrici e ho ammirato profondamente la sua influenza e il suo coraggio – ha dichiarato Laurent Laffont, il suo editore, ad Afp – Ha ispirato tanti scrittori a fare il grande passo e a lottare con lei”.

A dare la notizia della sua scomparsa all’agenzia France Presse è stato il marito Richard Philcox.

Di seguito alcuni dei libri più famosi della scrittrice.

Segu: Maryse Condé

Segu: Maryse Condé

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È il 1797 e il regno africano di Segu, nato dal sangue e dalla violenza, è all'apice della sua potenza. Eppure Dousika Traore, il consigliere più fidato del re, non sente altro che paura. Il cambiamento è in arrivo. Da Oriente, una nuova religione, l'Islam. Dall'Occidente, la tratta degli schiavi. Queste forze faranno a pezzi il suo paese, il suo villaggio e le vite dei suoi amati figli, nella scintillante epopea di Maryse Condé.
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Io, Tituba strega nera di Salem

Io, Tituba strega nera di Salem

Io, Tituba strega nera di Salem

Maryse Condé rievoca in questo libro i fatti che nel 1692 sconvolsero la comunità puritana di Salem, nel New England, uno dei più famigerati processi per stregoneria della storia. Le accuse, gli interrogatori, le torture e le condanne che seguirono coinvolsero più di centocinquanta persone e culminarono nella condanna a morte di diciannove imputati, in maggioranza donne. La nera Tituba, schiava di origine caraibica di proprietà del Reverendo Parris, fu accusata di istigare le donne e le fanciulle bianche alla stregoneria e ai commerci con il Maligno; la giovane schiava veniva dalle piantagioni delle Antille, e il romanzo a lei ispirato si apre sul luogo della sua nascita, l’isola di Barbada.
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La vita perfida

La vita perfida

La vita perfida

Quella dei Louis della Guadalupa descritta da Maryse Condé è la storia avventurosa della nascita di una borghesia nera cosmopolita, un’epopea in cui si succedono donne e uomini orgogliosi o disperati, fantasmi che gridano vendetta, sogni di emancipazione, rabbia e violenza. Fondatore della dinastia è il bisnonno Albert, detto Boccaccia d’Inferno, che all’inizio del ’900 fugge dalle piantagioni di canna da zucchero della sua isola nei Caraibi per cercare fortuna nei cantieri del canale di Panama e poi nella Chinatown di San Francisco. Uomo ambizioso e tenace, con un pessimo carattere ma dotato di uno spiccato talento per gli affari, Albert porterà la famiglia dalla miseria agli agi di una vita ricca di cultura, di viaggi e di rispetto. Tuttavia la sua eredità conterrà anche la vergogna per le umiliazioni subite dalla sua razza, l’odio verso i bianchi, la confusa ricerca di identità etnica. Orgoglio e frustrazione di un popolo che troveremo nel viaggio secolare dei Louis fino ai nostri giorni, raccontato con una bella scrittura musicale e a tratti lussureggiante.
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La vita senza fard

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Penso che 'La vita senza fard' sia soprattutto la riflessione di un essere umano che tenta di realizzarsi pienamente. E che la felicità finisce sempre per arrivare. (Maryse Condé).
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