Tra le strade trafficate e gli angoli nascosti, vive una popolazione spesso invisibile e vulnerabile: le persone senza fissa dimora. Questi individui affrontano sfide quotidiane legate alla povertà, alla malattia mentale, all’isolamento sociale e alla mancanza di risorse fondamentali. Ma c’è un’altra minaccia silenziosa che incombe su di loro: la mortalità prematura.

Secondo la Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora, nel 2023 sono morte in Italia 415 senzatetto, coinvolgendo 215 comuni italiani, con una predominanza nella Lombardia. Tra le città italiane che hanno registrato il maggior numero di decessi, spiccano Roma con 44 casi e Milano con 22, seguite da Bergamo, Torino, Bologna, Brescia e Genova.

L’analisi dei decessi sulle vie pubbliche evidenzia una prevalenza maschile (93%) e una maggior incidenza tra individui di nazionalità straniera (58%), con un’età media di 47,3 anni. Tuttavia, poco viene fatto a livello politico nazionale e locale; anzi, sembra che la situazione si stia ulteriormente aggravando.

In questi ultimi anni sono cresciute le disposizioni che cercano di allontanare i senzatetto dai centri storici, una strategia che di certo non getta le basi per la risoluzione del problema. Come se ciò non bastasse, il processo di criminalizzazione dell’accoglienza si traduce nella formazione di nuove concentrazioni di individui senza dimora e nell’innalzamento significativo del numero delle vittime in un futuro prossimo.

Senza interventi concreti e strategie di lungo termine per affrontare le cause sottostanti di questo fenomeno, il numero delle vittime continuerà a salire inesorabilmente, minacciando la dignità e la sicurezza di chi vive ai margini della società italiana. Basti pensare che nei primi 20 giorni del 2024 sono morte già 30 senzatetto.

“Alla base c’è un concetto molto semplice: si affronta la questione con rimedi sbagliati, magari cavandosela con l’offerta di una coperta o di un panino. Ma lo dice la parola stessa: se uno è senza dimora, ha bisogno prima di tutto di un tetto sulla testa, più che di cibo”, ha affermato Michele Ferraris, responsabile comunicazione della fio.PSD. Eppure i margini di miglioramento ci sono.

“Si è visto che una volta che [i clochard] si vedono assegnare una casa, tendono a mantenerla: se ne prendono cura con grande riguardo, osservano obblighi e scadenze. Il loro recupero passa prima di tutto dal ritrovare una dimensione abitativa, possibilmente individuale. Tanti ad esempio faticano ad accettare la condivisione di uno spazio domestico” ha continuato Ferraris.

E conclude: “C’è chi vive con un cane e per accedere a una struttura dovrebbe abbandonarlo. Quindi non ci pensa nemmeno, visto che è l’unico affetto che ha. Senza contare che i dormitori danno riparo per la notte e non per il giorno. La casa non serve ovviamente solo per dormire. Per questo bisognerebbe fermarsi e ridiscutere interamente le politiche abitative, approntando nuovi approcci cui far seguire interventi concreti”.

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