Steven Stayner, rapito a 7 anni, salvò un bambino dal suo stesso pedofilo

Rapito a sette anni, dopo quasi un decennio di prigionia Steven Stayner è scappato per risparmiare a un bambino di cinque anni un destino di violenze e abusi come il suo. Dieci anni dopo, il fratello Cary è diventato un serial killer. Ora, l'incredibile storia della famiglia Steyner diventa un documentario.

Steven Stayner aveva 7 anni quando fu rapito mentre camminava per strada vicino alla sua casa a Merced, in California. Era il 1972 e stava andava a scuola quando incrociò sulla sua strada l’uomo che avrebbe cambiato la sua vita.

Kenneth Parnell, un pedofilo quarantunenne già condannato per abuso di minore, lo convinse a salire su un’auto promettendogli che lo avrebbe accompagnato a casa. Per i successivi otto anni lo avrebbe tenuto imprigionato e violentato, obbligandolo a chiamarlo “papà”, facendogli credere di essere ormai di sua proprietà – avendo ormai la sua custodia legale – e che il suo nome fosse Dennis.

La storia di Steven è diventata celeberrima negli Stati Uniti non tanto – o meglio, non solo – per la lunga prigionia e per l’eroica conclusione del suo rapimento, ma anche per l’incredibile destino che ha colpito la sua famiglia un decennio dopo la sua morte.

Nel 1980, Steven salvò Timothy White, di soli cinque anni, da un destino drammatico come quello che lui aveva dovuto subire. Perrel, infatti, ormai perso interesse per il quattordicenne, si fece aiutare da uno studente delle superiori a rapire il piccolo Timothy a Ukiah, in California, e lo portò nella casa in cui Steven/Dennis viveva in cattività da quasi un decennio.

Il giovane, capite le sue intenzioni, approfittò del primo momento disponibile per fuggire assieme a Timothy, fare l’autostop fino a Ukiah e recarsi alla prima stazione di polizia per denunciare l’accaduto. «So che il mio nome è Steven», sono state le prime parole che ha detto all’agente che lo ha accolto.

Parole che sono diventate il titolo di un film uscito nel 1989 sulla sua storia di abusi, dolore e coraggio, una storia che Steven ha raccontato alle telecamere poco dopo essersi liberato e aver salvato una potenziale nuova vittima dalle violenze di Perrel in un’intervista rilasciata a Good Morning America nel marzo 1980.

Quella di Steven sarebbe una storia già degna di salire agli onori della cronaca, ma a renderlo un caso veramente eccezionale e un unicum negli annali del True Crime è il risvolto inaspettato che ha colpito la sua famiglia dieci anni dopo la sua morte – avvenuta in un incidente d’auto nel 1989, pochi mesi dopo la messa in onda del film sulla sua vita – e su cui fa luce il documentario Captive Audience: A Real American Horror Story prodotto da Hulu (al momento, purtroppo non visibile in Italia).

Il nome Stayner, infatti, ha fatto nuovamente notizia quando una serie di omicidi nello Yosemite National Park è diventata un mistero nazionale. L’autore era Cary Stayner, il fratello maggiore di Steven.

Tra febbraio e luglio 1999, Cary ha ucciso due donne e due adolescenti mentre lavorava come tuttofare nel parco: la 42enne Carole Sund, sua figlia, la quindicenne Juli Sund, l’amica di Juli, la studentessa argentina di 16 anni Silvina Peloso e una dipendente dello Yosemite Institute, Joie Ruth Armstrong, una naturalista di 26 anni.

Bruciate, sgozzate, decapitate, rese irriconoscibili: le quattro donne hanno subito una fine orribile per mano del serial killer Cary Stayner, che si è divertito anche a giocare con la polizia, a cui ha inviato una mappa disegnata a mano che indicava l’ubicazione della terza vittima, Juli, con una nota che diceva «Ci siamo divertiti con questa».

Agli investigatori che lo hanno arrestato, Cary – che aspetta di scontare la condanna a morte – ha rivelato di avere fantasie sull’uccidere donne da quando aveva sette anni, ma la lettura che il documentario sulla storia di Steven Stayner e la sua famiglia dà di tutta la vicenda è più complessa:

Ora quattordicenne, Steven lotta per adattarsi e la sua famiglia è alle prese con la vita sotto il microscopio dei media. Il fratello maggiore di Steven, Cary, ha emozioni contrastanti: è felice di riavere suo fratello, ma geloso di come i media abbiano trasformato Steven in un eroe.

Dalla presentazione del documentario sembra che a innescare la scintilla che, dieci anni dopo, avrebbe reso di nuovo tristemente famosa la famiglia Stayner sia stato l’improvviso ritorno di Steven, trasformatosi improvvisamente da bambino scomparso a eroico salvatore sulla cui storia si girano addirittura Blockbuster.

Certo, Captive Audience mette in evidenza come Cary avesse fantasie violente sulle donne fin dalla tenera età e include filmati dell’FBI di Cary che confessa i suoi crimini, ma l’impressione è che la serie cerchi di collegare la storia di Cary al ruolo dei media, enfatizzando l’affermazione di un giornalista secondo cui il motivo degli omicidi di Cary era «avere anche il suo film della settimana».

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