La polizia inglese sta indagando su uno stupro avvenuto nel metaverso. Ma non è così facile

Una 16enne inglese ha denunciato che il suo avatar è stato stuprato da un gruppo di uomini in una piattaforma digitale. La polizia sta indagando, ma risalire all'identità dei responsabili non è affatto semplice.

Il metaverso sta diventando una realtà sempre più concreta nella nostra quotidianità, a dispetto del suo essere virtuale, tanto che anche i crimini che vengono commessi in questo “mondo alternativo” sono indagati esattamente al pari degli altri.

È quanto sta accadendo in Gran Bretagna con il caso di uno stupro che si sarebbe consumato proprio nel metaverso, ai danni di una sedicenne che ha riferito che il suo avatar sarebbe stato aggredito sessualmente da diversi uomini.

Nessuna lesione fisica per lei, fortunatamente, ma la polizia inglese non esclude che l’episodio, avvenuto all’interno di una piattaforma digitale mentre la ragazza indossava un visore VR per la realtà aumentata, possa aver avuto “un impatto emotivo e psicologico reale sulla vittima”. Allo stesso tempo, però, le autorità temono anche che, in virtù delle leggi esistenti, risalire all’autore o agli autori del reato potrebbe essere impossibile, visto che la violenza sessuale viene definita come un contatto fisico senza consenso.

Di certo la questione della criminalità nel metaverso è uno dei punti più problematici e di difficile risoluzione di questi ambienti virtuali, che potrebbero rappresentare esattamente il luogo in cui dare sfogo, in maniera digitale, ai lati peggiori degli esseri umani, reati compresi. Mancando una “polizia” che possa monitorare abusi e tutelare gli utenti, infatti, queste piattaforme possono potenzialmente trasformarsi in un vero e proprio ricettacolo di crimini, difficili poi da perseguire nel concreto, soprattutto visto che spesso e volentieri le registrazioni non richiedono documenti e gli avatar possono essere creati grazie a reti wi-fi non riconducibili direttamente a persone fisiche, come ha ammesso al Time b a: “Non disponiamo ancora di un sistema di identificazione che consenta una governance forte e adeguata”.

Al netto delle lacune nella sicurezza, le forze dell’ordine stanno però cercando di organizzarsi per intervenire nei casi di reati digitali: l’Interpol, ad esempio, nel 2023 ha lanciato il primo ambiente virtuale per studiare proprio i nuovi tipi di crimini che possono nascere nel metaverso, stilando delle linee guida per le polizie di tutto il mondo dove sono spiegati i pericoli del mondo virtuale, fra cui crimini contro i minori, phishing, frode finanziaria, contraffazione, riciclaggio di denaro, furto di dati, e come agire in caso di reati.

Quello della sedicenne inglese non è, peraltro, il primo caso di molestie denunciato nel metaverso: già nel 2022 la ricercatrice Nina Jane Patel, specializzata nello sviluppo di esperienze virtuali destinate agli adolescenti, ha dichiarato di essere stata vittima di molestie su Horizon Worlds, il metaverso creato da Meta, spiegando di aver ricevuto aggressioni verbali e violenze da parte di un gruppo di avatar. “È come se quell’esperienza terribile fosse avvenuta nella realtà”, ha in seguito dichiarato Patel su Medium. Nel maggio dello stesso anno un’altra donna, dipendente dell’organizzazione per i diritti digitali SumOfUs, ha denunciato di aver subito molestie sessuali all’interno di Horizon Worlds, spiegando che il suo avatar sarebbe stato condotto in una stanza e costretto a “compiere atti sessuali”.

Per prevenire incidenti del genere, Meta ha introdotto una “bolla” protettiva attorno agli avatar degli utenti, e lanciato un disclaimer: “La violenza oggetto dell’indagine della polizia britannica non potrebbe verificarsi sulla nostra piattaforma, poiché tutti gli utenti beneficiano di barriere personali che mantengono gli sconosciuti a distanza”. In risposta alle prime denunce di molestie, Meta ha inoltre espanso le categorie di contenuti non accettabili sulla piattaforma, includendo situazioni di “quasi nudità”, pose esplicite e ambienti che simulano o sono legati alla sessualità.

Proprio per le difficoltà oggettive di risalire e perseguire gli autori dei crimini perpetrati nell’ambiente digitale, tuttavia, l’esperta di crimini informatici dell’università di Washington Katherine Cross ha sottolineato che, per lei, le responsabilità di affrontare la questione dovrebbero ricadere sui gestori delle piattaforme: “Una legislazione più efficace richiederebbe alle grandi aziende di avere team dedicati alla sicurezza. Affinché l’ambiente online e virtuale delle piattaforme sia sicuro, è fondamentale attribuire la responsabilità di queste situazioni prima di tutto alle aziende, piuttosto che ai singoli utenti”.

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