"L'aborto è più grave della pedofilia". Chiesa: opere e omissioni sulla pedofilia

Le parole di don Andrea Leonesi, vicario del vescovo di Macerata, sono inaccettabili, ma s'inseriscono nel solco omertoso della Chiesa che da tempo criminalizza un diritto sancito da una legge (l'aborto), decriminalizzando un reato cui la Chiesa dà del tu da tempo (la pedofilia).

“Guardate, fratelli, possiamo dire tutto ma l’aborto è il più grave degli scempi!
Mi verrebbe da dire una cosa ma poi scandalizzo mezzo mondo. È più grave un aborto o un atto di pedofilia? Scusate, il problema di fondo è che siamo così impastati in una determinata mentalità che ci dimentichiamo… Con questo non voglio dire che l’atto di pedofilia non sia niente, è una cosa gravissima. Ma cosa è più grave?”.

L’omelia tenuta da don Andrea Leonesi, vicario del vescovo di Macerata, durante la messa del 27 ottobre documentata da Cronache Maceratesi non lascia spazio a interpretazioni o agli abituali “sono stato frainteso”: secondo Leonesi, l’aborto è più spregevole e grave del reato di pedofilia.

Peccato che quest’ultimo sia, appunto, un reato – tra i più aberranti – con il quale la Chiesa ha peraltro a che fare storicamente a oggi ancora con atteggiamento colpevolmente omertoso; mentre l’aborto è un diritto garantito da una legge italiana, la n. 194/78.

Diritto! Tocca ribadirlo, che non nega né minaccia la libera scelta di chi, per fede o convinzione personale, decida di fare scelte diverse.
Diritto! E in quanto tale da tutelare e garantire; e sulla base del quale non è possibile colpevolizzare una donna, in quanto non commette nessuna illegalità.

In uno Stato laico non servirebbe ribadire il concetto.
E lo Stato italiano, in teoria, nasce come dichiaratamente laico, sulla scorta della concezione separatista sintetizzata nella celebre frase attribuita a Cavour (in realtà coniata dal calvinista Alexandre Vinet): “Libera Chiesa in libero Stato”. Eppure la Storia della nostra nazione ha più volte mostrato e mostra oggi (numeri alla mano) più di un limite alla libertà auspicata, non tanto della Chiesa (anzi!), quanto dello Stato.

Basti pensare alla vitalità nelle amministrazioni comunali di movimenti ProVita d’ispirazione cattolica che, sotto il cappello del sostegno alla vita nascente o di una cultura della vita, finanziano con i soldi pubblici dei contribuenti associazioni private e produzione di materiali di comunicazione che contrastano apertamente con la 194; nonché operazioni come quella che recentemente ha portato all’attenzione della cronaca il comune di Iseo nel bresciano:

Si aggiungano poi i dati dell’obiezione: negli ospedali italiani 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza (media italiana di 68,4% secondo la relazione del Ministro della Salute del 31 dicembre 2018), con picchi che, nella relazione precedente, superavano l’80% a Bolzano, in Abruzzo, Molise, Campani, Puglia, Basilicata (88.1%) e Sicilia.

Il vicario del vescovo di Macerata, nel frattempo, auspica per l’Italia quello che sta accadendo in Polonia dove, parole sue, “sono arrivati a fare una legge per cui anche il feto malformato non si può abortire… Oggi una cosa simile valla a dire in Italia… Infatti in Polonia, oggi stavo parlando con un sacerdote polacco, si stanno scatenando tutte le femministe, tutte queste che fanno di tutto: entrano dentro le chiese e cominciano a spogliarsi… [..] È pure vero che Santa Faustina aveva avuto un’ispirazione: la rinascita della Chiesa nel regno di Dio sarebbe ricominciata dalla Polonia.

Eppure bisogna stare attenti, per giusta indignazione, a non farsi menare per il naso dal fulcro della suddetta omelia, che non è solo una colpevolizzazione anticostituzionale dell’aborto, ma una gravissima decriminalizzazione di un reato cui la Chiesa dà del tu da sempre, godendo di un’impunità sancita ai tempi del fascismo e ratificata nel 1980, che sottrae anche i religiosi pedofili alla giustizia italiana secondo la modalità ben spiegata da Jennifer Guerra su The Vision:

La causa risiede nei Patti Lateranensi del 1929, ratificati nel Concordato del 1984: secondo l’articolo 4, “I vescovi sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragione del proprio ministero”. In pratica, non sono tenuti a collaborare con la giustizia. Nella circolare alle Conferenze episcopali per la preparazione delle linee guida da adottare nei casi di abuso su minore, il Vaticano ha ribadito che “va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale”. Il riferimento al “foro interno sacramentale”, cioè alla confessione, riguarda il divieto di un sacerdote di divulgare un peccato o l’identità del peccatore che si è confessato. Ciò significa che se un prete viene a conoscenza di un abuso durante una confessione è invitato a tenere per sé questa notizia, pena la scomunica.

La tentazione, soprattutto per i credenti, è quella di pensare a poche (o anche tante) mele marce che agiscono nell’ombra, quando è stato ben mostrato che non è così semplice e che a far ombra sono proprio gli stessi vertici del clero.
La pedofilia all’interno della Chiesa, cioè, è un reato coperto dall’omertà della Chiesa stessa e dei suoi massimi rappresentanti.

Prendiamo il caso Spotlight, la famosa inchiesta che valse al Boston Globe il Premio Pulitzer nel 2003 e che nel 2015 è diventato un film.
Prendendo le mosse dal caso di padre John Geoghan, accusato di avere molestato decine di bambini tra il 1962 e il 1993, Spotlight portò alla luce una fitta rete di pedofilia e di omertà che vedeva coinvolti 249 sacerdoti e oltre 1500 vittime.
Per la cronaca: la timeline con i principali articoli che dal 2002 al 2003 hanno fatto tremare la Chiesa americana e mondiale è consultabile sulla sezione dedicata dal Boston Globe stesso.

Chi ha seguito le conseguenze del caso o, più semplicemente, ha visto il film si sarà chiesto com’è possibile che una delle figure cardine di questo scandalo, l’arcivescovo di Boston Bernard Francis Law, sia stato trasferito nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, con il benestare di Papa Wojtyla, dove visse fino a 86 anni senza essere processato per il suo coinvolgimento nella copertura degli abusi subiti da oltre 500 minori (nel 2017, il suo funerale fu celebrato da Papa Bergoglio).

La motivazione di questa immunità sta nel fatto che la Basilica di Santa Maria Maggiore, come altri edifici sul territorio di Roma, sono considerati zone extraterritoriali vaticane e, in quanto tali, godono quindi del Codice di Diritto canonico, rispondendo cioè alla Chiesa stessa.

Sempre citando Guerra:

Per il diritto canonico, un sacerdote che commette violenza contro un minore viola il canone 277 sul celibato ecclesiastico e perciò, secondo il canone 1395, viene “punito con la sospensione, alla quale si possono aggiungere gradualmente altre pene, se persista il delitto dopo l’ammonizione, fino alla dimissione dallo stato clericale” e se il delitto avviene con un minore di 16 anni viene “punito con giuste pene”. La violenza sessuale è considerata un peccato e non un reato: ciò significa che il sacerdote deve rispondere a Dio e non alla giustizia terrena.

“La pedofilia non uccide nessuno, l’aborto sì”, il precedente

Restando sul tema di sacerdoti che cercano di decriminalizzare un reato, criminalizzando un diritto, sono famose le dichiarazioni che Richard Bucci, sacerdote del Rhode Island, rilasciò a inizio 2020, bandendo dalla sua parrocchia 44 legislatori perché a favore della legge sull’interruzione di gravidanza:

“La pedofilia non uccide nessuno, l’aborto sì”.

Ipse dixit e, a dimostrazione del fatto che non si tratta di casi isolati, il vescovo di Providence Thomas Tobin, intervenne nella polemica suscitata dal sacerdote della sua diocesi, replicando come segue alle parole di don Bucci: “Le violenze sessuali ai minori sono da condannare tanto quanto l’aborto”. Negando, ancora una volta, il netto dualismo tra un crimine e un diritto.

Non si contano poi i casi di preti accusati o condannati che sono stati spostati tra le diocesi mondiali mantenendo ruoli e continuando, in alcuni casi, la carriere ecclesiastica.

I numeri della pedofilia nella Chiesa italiana

  • 4.000 preti pedofili
  • oltre un milione di vittime

Questi i dati secondo Rete L’Abuso, l’associazione che riunisce i sopravvissuti agli abusi sessuali del clero, che ha realizzato:

La situazione in Italia è ritenuta talmente grave da aver attirato persino l’attenzione dell’Onu che, nella Convenzione per i diritti del fanciullo del 28 febbraio 2019, si è espressamente rivolta alla nostra nazione dicendosi:

Preoccupata per i nuovi casi di bambini sessualmente abusati da religiosi della Chiesa cattolica nello Stato italiano, e per il basso numero di indagini e procedimenti penali.

Le voci del dissenso

Nel libro Chiesa, liberati dal male! Lo scandalo di un credente di fronte alla pedofilia, il vaticanista ed ex vicedirettore de L’Osservatore Romano, Gian Franco Svidercoschi, scrive:

Gli ultimi Papi hanno mostrato coraggio, hanno preso decisioni, a cominciare dalla ‘tolleranza zero’ e dalla Commissione vaticana per i minori. E tuttavia, va detto molto onestamente, ci sono state finora troppe parole, e invece pochi fatti. E adesso, dunque, ci vogliono i fatti. Riformando l’intera struttura dei seminari, la preparazione dei candidati al sacerdozio, a tutti i livelli, in tutti i campi, compreso quello della sessualità.
[…]
I preti pedofili hanno potuto contare sul silenzio, sulla complicità solidale, e omertosa, di molti confratelli; o, peggio, di vescovi che si sono limitati a soluzioni di comodo. Ma quando è arrivata alla superficie, tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, la tragica vicenda è esplosa come una polveriera. E da allora le esplosioni continuano, sempre più forti, di pari passo alla pubblicazione di nuove inchieste, di nuove denunce. Adesso, però, basta!.

A febbraio 2019, del resto, nel corso del summit sulla pedofilia, il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, capo della Chiesa tedesca e tra i porporati al fianco papale nella riforma della Curia romana, aveva lanciato il suo pesante J’accuse:

I dossier che avrebbero potuto documentare i terribili atti e indicare il nome dei responsabili sono stati distrutti o nemmeno creati. Invece dei colpevoli, a essere riprese sono state le vittime ed è stato imposto loro il silenzio.[…] Gli abusi sessuali nei confronti di bambini e di giovani sono in non lieve misura dovuti all’abuso di potere nell’ambito dell’amministrazione.
[…] Le procedure e i procedimenti stabiliti per perseguire i reati sono stati deliberatamente disattesi, e anzi cancellati o scavalcati. I diritti delle vittime sono stati di fatto calpestati e lasciati all’arbitrio di singoli individui. Sono tutti eventi in netta contraddizione con ciò che la Chiesa dovrebbe rappresentare. Il modo in cui l’amministrazione della Chiesa è stata strutturata e svolta non ha contribuito a unire tutto il genere umano e ad avvicinare di più gli uomini a Dio ma, al contrario, ha violato tali obiettivi.

Il Papa e la lotta (insufficiente) alla pedofilia

In tutto questo la posizione di Papa Bergoglio resta insufficiente.
Perché al di là delle dichiarazioni di “tolleranza zero” rispetto alla pedofilia della Chiesa, nella Lettera Apostolica in forma di “Motu Proprio” sulla Protezione dei minori e delle persone vulnerabili, Papa Bergoglie scrive:

Fatto salvo il sigillo sacramentale, i soggetti di cui al punto 3 del Motu Proprio «Ai nostri tempi», dell’11 luglio 2013, sono obbligati a presentare, senza ritardo, denuncia al promotore di giustizia presso il tribunale dello Stato della Città del Vaticano ogniqualvolta, nell’esercizio delle loro funzioni, abbiano notizia o fondati motivi per ritenere che un minore o una persona vulnerabile sia vittima di uno dei reati di cui all’articolo 1.

In soldoni, restano valide l’omertà avvallata dalla confessione (sigillo sacramentale) e la denuncia al tribunale dello Stato della Città del Vaticano, non a quello italiano.
Con queste parole, cioè, Bergoglio avvalla l’idea che i preti pedofili debbano rispondere alla Chiesa e non allo Stato Italiano, mantenendo il beneficio anacronistico dei Patti Lateranensi.

Insomma, al momento è ancora e solo: Libera Chiesa in non-libero Stato.

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