Indi Gregory, rinviata a domani la decisione *** IN AGGIORNAMENTO ***

Saranno staccate alle 15 ora italiana le macchine che tengono in vita la piccola Indi Gregory, cui l'Italia aveva dato la cittadinanza per permetterne il trasferimento al Bambin Gesù di Roma. A stabilirlo l'Alta Corte britannica.

*** Aggiornamento ore 18:00***

Come riportato dall’avvocato che sta seguendo la famiglia, Simone Pillon, la decisione sulle sorti di Indi Gregory è stata rimandata a domani, alle 12:00 si terrà l’udienza in Court of Appeal.

*** Articolo originale del 9 novembre, ore 11:00***

Saranno staccate alle 15 di oggi le macchine che tengono in vita Indi Gregory, la bambina inglese affetta da una patologia mitocondriale ricoverata al Queen’s Medical Hospital di Nottingham.

Il giudice Robert Peel ha confermato che proseguire la ventilazione artificiale significherebbe fare accanimento terapeutico, e ha quindi negato anche la possibilità ai genitori, Dean Gregory e Claire Staniforth, di trasferire la piccola in Italia, dove l’ospedale Bambin Gesù si era offerto di provare a curarla.

A Indi Gregory era stata data, con una decisione del Consiglio dei Ministri rapidissima, anche la cittadinanza italiana, proprio per poterle garantire il trasferimento nel nostro Paese.

L’Alta Corte britannica ha però stabilito che trasportarla in Italia sarebbe non solo inutile, dal punto di vista medico, ma anche causa di sofferenze per la piccola, che ha solo otto mesi.

La sentenza, del resto, era già nell’aria, visti i precedenti di Alfie Evans e Charlie Gard, entrambi malati gravi i cui genitori avevano ottenuto, proprio come nel caso Gregory, la disponibilità dal Bambin Gesù di accoglierli, benché anche i sanitari italiani non avessero grosse speranze di miglioramento.

A poco, dunque, sono valse le proteste dei genitori della bambina, che sostengono che Indy risponda agli stimoli, sorrida e muova le braccia, a dispetto della malattia.

“Sono orgoglioso che mia figlia sia italiana, grazie di cuore al vostro governo, al vostro ospedale, al vostro popolo, vorrei che anche i politici britannici la pensassero così”, aveva detto Dean Gregory a Repubblica pochi giorni fa; a decidere la sorte della piccola non è però il governo inglese, né i medici, ma la magistratura che, dopo aver ascoltato il difensore della famiglia e poi dell’ospedale, è chiamato a scegliere la strada migliore nell’interesse proprio della bambina. Il tutto pur considerando il naturale strazio di due genitori che, ovviamente, non si rassegnano a perdere la loro piccola.

Rimbalzato dall’Alta Corte in Appello e tornato all’Alta Corte, il caso di Indi Gregory ha naturalmente riacceso il dibattito sull’accanimento terapeutico già messo in ballo dai casi precedenti che abbiamo citato; benché l’avvocato della famiglia Gregory, Simone Pillon, abbia già annunciato il ricorso, allo stato attuale delle cose le macchine di ventilazione artificiale saranno staccate alle 14 ora inglese – le 15 italiane, appunto -. Nel frattempo Matteo Corradini, console italiano a Manchester e responsabile per l’area di Nottingham, ha chiesto una misura d’emergenza per far riconoscere l’autorità dei tribunali italiani in questo caso, mentre il padre della bambina afferma di essere stato ripetutamente minacciato dai medici, che gli avrebbero detto che avrebbero interrotto il supporto artificiale subito, senza la loro presenza.

Il caso ha, naturalmente, spaccato non solo il mondo medico, ma anche l’opinione pubblica: se Andrew Williams, dell’associazione religiosa Christian Legal Centre che appoggia i Gregory, ha detto  “Che ragione ci può essere di detenere Indi qui, contro la volontà dei genitori, quando c’è un ospedale in Italia pronto ad accoglierla”, il senatore del Pd Andrea Crisanti, che ha vissuto a Londra per anni come docente dell’Imperial College, ha invece affermato che “Il sistema sanitario britannico è all’avanguardia in questi campi, portare la bambina in Italia sarebbe stata una inutile crudeltà. A cosa servono nel suo caso le cure palliative? Penso che da parte del governo Meloni ci sia stata solo una questione politica, per farsi pubblicità a buon mercato sulla pelle dei genitori di Indi”.

Gli ha fatto eco Lorenzo D’Avack, ex presidente del Comitato di bioetica: “Portare in Italia la piccola Indi, affetta da una malattia gravissima e da feroci sofferenze, senza alcuna speranza di miglioramento, sarebbe stato un atto di vero accanimento terapeutico – ha detto a Repubblica – Condivido la scelta dei giudici inglesi. Non stiamo salvando una bambina da una guerra o da una pericolosa epidemia, ma vogliamo strapparla a uno degli ospedali pediatrici migliori del mondo, dove eccellenti medici hanno decretato che tenerla in vita attaccata a delle macchine è disumano”.

D’Avack ha inoltre ricordato che anche in Italia, in caso di disaccordo tra medici e genitori, è il giudice a dover decidere, secondo quanto stabilito dalla legge 2019 del 2017.

“La scelta dell’Italia di concederle la cittadinanza è stato un atto ipocrita – ha aggiunto – in nome di un astratto diritto alla vita che nel caso di Indi vuol dire  sofferenza e va contro la dignità della vita stessa. Un atto politico non umanitario”

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