Caro Amadeus, è importante: vogliamo i fiori di Sanremo per tutte, tutti e tuttə

Basta con la storia della galanteria, anche perché finché "gli uomini di una volta" non muoiono e quelli nuovi, per citare Mia Martini, "non cambiano" e diventano davvero uomini nuovi, passare dai fiori del corteggiamento a quelli sulla tomba delle vittime di femminicidio è un attimo. E poi, caro Amadeus, capiamoci bene sul "Chi è donna?".

Nessun* tocchi i fiori di Sanremo!
Sarebbe facile, del resto, fare ironia sul carrello usato come dispositivo anti-Covid, nella prima serata del festival, per portare i fiori affinché nessun*, a parte la cantante che li riceve, tocchi il profumato mazzo.
I social sono pieni di meme, esilaranti o meno, ma non è questo il punto.

Il punto è che i fiori sono un simbolo di Sanremo e, in quanto tali, sono importanti.
Soprattutto in un anno di pandemia, non devono mancare.
Il motivo è sintetizzato in questo lancio Ansa di qualche giorno fa:

Solo composizioni con fiori tipici della riviera ligure per il festival di Sanremo: sono un simbolo di speranza per il rilancio della floricoltura ligure, un comparto regionale leader in Italia che nel 2020 ha perso 212 milioni per lo stop di cerimonie, eventi ed export, rileva Cia-Agricoltori Italiani.

Ma i fiori sono anche simbolo di altro.
Del corteggiamento e della galanteria verso la donna amata, direbbe qualcun*.
Della delicatezza di lei,  donna-angelo, donna-angelicata e custode del focolare.

Già donna, da Petrarca a oggi, profumata e fragile come un fiore, da non toccare neppure con un fiore.

I fiori, insomma, sono uno degli strumenti del patriarcato e del potere del maschio sulla donna, intesa rigorosamente in senso biblico: assegnata femmina alla nascita, costola di Adamo, Eva tentatrice liberata dal peccato nella sottomissione all’uomo, nel suo ruolo di figlia, moglie e madre, purché fedele come una cagna e pudica come una santa.

Che esagerazione, dirà qualcun*.
Per fortuna che la galanteria non è morta e che esistono ancora gli uomini di una volta. Farà eco più di un uomo e una donna.

Affermazioni diffuse, da fare accapponare la pelle.
Anche perché finché “gli uomini di una volta” non muoiono e quelli nuovi, per citare Mia Martini, “non cambiano” e diventano davvero uomini nuovi, passare dai fiori del corteggiamento a quelli sulla tomba delle vittime di femminicidio è un attimo. I numeri confermano e, per tornare al discorso di prima, la pandemia non ha fatto male solo ai fiori di Sanremo, ma anche alle donne (che nel pre-Covid non è che allora se la passassero da dio).

Il fatto che non sia un’esagerazione, lo confermano anche le prime due serate del festival.
Come scrive Carlotta Vagnoli in questo post, che vi invito a leggere per intero (questo è solo un estratto):

Ripenso ai fiori sanremesi donati solo alle cantanti e non agli uomini in gara e trovo limitante che nel 2021 non si possa stravolgere il più semplice dei paradigmi basato su uno stereotipo di genere melenso quanto intellettualmente imbarazzante.
Frivole, leggere, dal buon odore, che occupano poco spazio e che quando invecchiano si buttano via: la visione secolare che si è avuta della donna è stata proprio quella floreale, di orpello ed accessorietà. Tant’è che ancora si imbrattano spazi su spazi in editoriali commentando i corpi femminili e non le capacità, come se le concorrenti del festival facessero parte di una seconda competizione parallela, basata sul dimagrimento o l’ampiezza della scollatura, sull’essere spigliata e mai competente, sul taglio di capelli e mai sulla capacità di tenere il palco molto meglio di presentatori ultra cinquantenni che fanno battute sull’assonanza tra anulo ed ano davanti ad undicimilioniditelespettatori.
I fiori ci hanno fottute e questi stessi stereotipi hanno poi imposto agli uomini di non accettarli mai in dono per non diventare “femminucce” e dunque accessorie.

Fiori a Noemi e ad Annalisa, pazienza poi che i principali quotidiano italiani scrivano cose tipo, citando testualmente, “Annalisa ‘fuori di seno'”, o utilizzando il corpo delle donne come metro di paragone del loro valore artistico:

Dalle pagelle del Corriere della Sera

Fiori solo a Veronica Lucchesi del duo La Rappresentante di Lista, ma lei frega il sistema e il simbolo importante, i fiori di Sanremo, lo divide con l’altra metà del duo, Dario Mangiaracina e * altr* artist*.
Fiori a Victoria De Angelis dei Maneskin, ma non a Damiano David, Thomas Raggi ed Ethan Torchio, che hanno voglia a vestirsi come pare a loro e a dire che “i generi sono morti”.
Fiori a Madame, che pure più del genere biologico sembra interessata all’identità. Giustamente.
Fiori a Francesca Barra, non a Claudio Santamaria e non ad Achille Lauro, che infatti stocca, a ragione: “Importantissimi vero?”
Chi se ne frega se Achille Lauro è lì a dirci: “Sessualmente tutto. Genericamente niente”.

Pronto, Amadeus, sei in ascolto? Lo hai chiamat* tu Achille Lauro, no? Ma lo hai anche ascoltat*?

Per Renga, Bugo, Fausto Leali e gli altri, va da sé, neppure l’ombra di un ranuncolo.

A Sanremo i generi contano, al punto che verrebbe voglia di tirare fuori l’hashtag #SanremoTERF
Assegnato maschio alla nascita = niente fiori
Assegnata femmina alla nascita = fiori

E qui ci fermiamo, che bisognerebbe aprire il capitolo sul “Chi è donna?” e ad Amadeus e Fiorello potrebbe sanguinare il naso a sentirsi dire che non è un F sul certificato di nascita a determinarti in qualche donna (né, va da sé, una M a renderti maschio).
Magari per questo vi facciamo scrivere direttamente dalle nostr* firme trans*, Daphne Bohémien ed Elia Bonci.

Ma è il momento dell’appello:

Caro Amadeus,
i fiori sono simboli, hanno un linguaggio, ma il linguaggio cambia, evolve e quello di questa società è da secoli che deve cambiare.
Deve cambiare il tuo, quello di Fiorello, il nostro di giornalist* e quello di tutt* noi persone.
Te lo stiamo chiedendo in tant*
I fiori di Sanremo sono importanti: diamoli a tutte, tutti, tutt*

È Sanremo 2021 (20-21, come lo pronunci tu!), non è più tempo di cantare “Grazie dei fior […] Mi han fatto male eppure li ho graditi”.

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